lunes, 28 de junio de 2010
HASTA EL FÚTBOL NACIÓ CON LOS GUARANI
LOS GUARANÍES INVENTARON EL FÚTBOL, SEGÚN EL VATICANO
Escrito por jotaefe - Lunes 28 de Junio de 2010 – Publicado por VivaParaguay
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El diario oficial del Vaticano publicó hoy una información titulada «Los guaraníes inventaron el fútbol». El artículo aparecido en L´Osservatore Romano, está firmado por Gianpaolo Romanato y señala que fue en el siglo XVII, en lo que hoy conocemos como Paraguay, donde nació el fútbol.
Está afirmación se sustenta gracias al relato de un jesuita catalán llamado José Manuel Peramás, que pasó varios años en la Reducción de San Ignacio de Miní, al sur de la ciudad de Asunción, una de las 30 Reducciones que había en el Paraguay colonial.
El P. Peramás escribió en su libro «De vita et moribus tredecim virorum paraguaycorum», publicado en 1793, muchas de sus vivencias con los guaraníes y, entre ellas, las diversiones que solían tener en su tiempo de ocio: «Solían también jugar con un balón, que, aun siendo de goma llena, era tan ligero y rápido que, en vez que lo golpeaban, seguía rebotando algún tiempo, sin pararse, impulsado por su propio peso. No lanzaban la pelota con la mano, como nosotros, sino con la parte superior del pie desnudo, pasándola y recibiéndola con gran agilidad y precisión».
L´Osservatore Romano señala que «los guaraníes de hace tres siglos seguramente ya jugaban al balón con maestría. En el fondo son los descendientes de los verdaderos inventores del fútbol». La polémica está servida. Seguramente serán los ingleses en refutar los diarios del P. Peramás.
A Continuación, la versión original del artículo publicado por Gianpaolo Romanato en el L´Osservatore Romano
CHI HA INVENTATO IL CALCIO?
A pochi giorni dall'inizio dei Mondiali di calcio in Sudafrica, l'articolo allegato non risponde ad una elaborata esigenza culturale, ma culturale lo è ugualmente, e come! Tra l'altro si parla degli Indios Guaranì tra i quali hanno lavorato i primi missionari salesiani inviati da Don Bosco nel Nuovo Mondo. E, da bravi Salesiani, non hanno certo mancato di giocare a calcio con i piccoli Indios!
Quando i guaraní inventarono il calcio
di Gianpaolo Romanato
Sulle origini del gioco del calcio le ipotesi si sprecano. Che sia nato in Inghilterra nell'Ottocento è risaputo. Ma oltremanica iniziò il calcio moderno, mentre è ben noto che con una palla rotonda si è sempre giocato: nell'antica Roma, nell'America precolombiana, nell'Europa moderna. Le varianti, per quanto se ne sa, erano tante, più o meno simili alle specialità attuali: si giocava con le mani, con i piedi, utilizzando le anche, con una corda o una rete che divideva il terreno, con delle spatole, facendo passare la palla attraverso degli anelli circolari appesi ai muri. E il gioco aveva molte finalità, dalle ludiche alle rituali, spesso praticato in forme brutali, che lasciavano dolorante e talvolta seriamente ferito chi lo praticava. Nelle culture americane precedenti l'arrivo di Colombo questa pratica era diffusissima, testimoniata da ritrovamenti archeologici e da resti dei luoghi dove si giocava.
Ma abbiamo una testimonianza precisa e inequivocabile che ci dice che l'uso non di un generico gioco col pallone, bensì di un'attività singolarmente simile al calcio moderno fosse in uso, non in tempi remoti, ma con ogni probabilità nel Seicento e fino alla metà del Settecento. Dove? Proprio in Paraguay, il Paese la cui nazionale giocherà contro l'Italia campione del mondo la partita inaugurale del girone f dei mondiali sudafricani.
Ma andiamo con ordine e riferiamo innanzitutto la testimonianza. Che è la seguente: "Solevano anche giocare al pallone, che, anche se di gomma piena, era così leggero e veloce che, una volta ricevuto il colpo, continuava a rimbalzare per un bel pezzo, senza fermarsi, spinto dal proprio peso. Non lanciano la palla con le mani, come noi, ma con la parte superiore del piede nudo, passandola e ricevendola con grande agilità e precisione". Dunque: giocavano con una palla di gomma leggera ed elastica tirandosela l'un l'altro con i piedi e non con le mani. Cioè, giocavano esattamente al calcio. Come noi. Ma chi si dilettava in questo modo? Gli indios guaraní nelle Reducciones gesuite del Paraguay, fiorite dall'inizio del Seicento fino alla metà inoltrata del Settecento. E chi ce lo riferisce con tanta precisione? Un padre gesuita che trascorse diversi anni della sua vita nella riduzione di San Ignacio Miní, una delle trenta Riduzioni distribuite nel Paraguay coloniale, a sud della città di Asunción. Un religioso che conosceva il mondo guaraní meglio della Spagna, dove era nato, e che poteva parlarne con assoluta sicurezza.
Si tratta di José Manuel Peramás, un catalano nato nel 1732, che studiò nel grande collegio dei gesuiti di Córdoba - le rovine del complesso oggi sono state dichiarate dall'Unesco patrimonio dell'umanità - e, dopo alcuni anni di servizio nelle missioni fra i guaraní, fu colpito, con tutti i suoi confratelli, dal decreto di espulsione che lo costrinse a lasciare per sempre il mondo indiano delle colonie spagnole d'America. Dopo un viaggio penoso, che si protrasse per mesi, approdò con moltissimi altri gesuiti espulsi nello Stato pontificio e fu sistemato a Faenza.
Il racconto di questa odissea, Diario del destierro, ripubblicato nel 2008 dall'Editorial de la Universidad Católica de Córdoba, è un classico ben noto a quanti studiano la storia Della Compagnia di Gesù.
A Faenza padre Peramás scrisse due libri in latino sulle Riduzioni. Il secondo si intitola De vita et moribus tredecim virorum Paraguaycorum e fu pubblicato nel 1793, pochi mesi dopo la sua morte. Nel lunghissimo prologo di quest'opera (apparso autonomamente, in traduzione spagnola, prima in Argentina e, più recentemente, in Paraguay con il titolo Platón y los Guaraníes, Asunción, Centro de Estudios Paraguayos "Antonio Gulasch", 2004), compare, a pagina 97, l'inaspettato inciso citato, che descrive la pratica del gioco del pallone tra i guaraní all'interno delle Riduzioni.
L'opera di Peramás, bisogna ammetterlo, ha uno scoperto intento apologetico, fondata com'è sull'ipotesi che le trenta Reducciones fossero quasi l'applicazione storica concreta dello stato ideale vagheggiato da Platone nella Repubblica e nelle Leggi. Ma la finalità glorificatoria non impedisce al gesuita, durante il suo sofferto esilio faentino, di ricostruire fedelmente il modo di vita guaranitico di cui era stato guida e partecipe durante il suo lungo ministero pastorale, con osservazioni, segnalazioni e giudizi che sono stati ripresi da tutta la recente storiografia sull'argomento, tanto di lingua spagnola quanto di lingua portoghese. Il gesuita catalano, insomma, è una fonte che gli studiosi si guardano bene dal sottovalutare e che, piuttosto, citano con diligente attenzione. Uno studioso italo-canadese, Stelio Cro, colloca la sua opera nel genere utopico, ma poi si sente in dovere di aggiungere che "è unica in otto secoli di scritti utopici", perché non si basa sull'immaginazione ma su un fatto reale, accaduto, del quale l'autore che scrive era stato testimone de visu e protagonista in prima persona. Dunque, il cenno al gioco del pallone praticato dai guaraní in forme incredibilmente simili al moderno gioco del calcio - usavano, dice, una palla di gomma piena che rimbalzava trascinata dal suo peso ed era passata da un giocatore all'altro con il collo del piede con grande abilità e precisione - non può non essere la fedele descrizione di ciò che aveva visto nella grande piazza centrale, davanti alla chiesa e alle abitazioni, che dominava ciascuna delle trenta Riduzioni.
Insomma, i guaraní di tre secoli fa giocavano al pallone con sicura maestria. E allora, nella sua partita inaugurale di lunedì prossimo, l'Italia campione del mondo farà bene a non prendere sottogamba i giocatori paraguayani, eredi del mondo guaraní delle Riduzioni. In fondo, sono i discendenti dei veri inventori del calcio.
(©L'Osservatore Romano - 11 giugno 2010)
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